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Scappare da un passato e un presente troppo difficile da affrontare: "Monteruga" di Anna Puricella

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Monteruga
di Anna Puricella
Fandango, 2023

pp. 171
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 ( ebook)

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Forse è stata una scemenza, venire a vivere a Monteruga. (p. 26)

Lasciarsi tutto alle spalle non è mai una scelta facile; ci vuole un gran coraggio per iniziare nuovamente da capo, magari in un borgo isolato e abbandonato. Eppure, per il protagonista di questa storia sembra che andarsene sia stata, almeno apparentemente, la decisione più naturale.

Siamo in Salento, precisamente a Monteruga, un paese abbandonato, dove vive una sola persona: Angelo. Un ragazzo che ha dovuto reinventare la sua vita, dopo un disastroso incidente sul lavoro che l’ha reso disabile per sempre ed è per questo (e molto altro) che decide senza indugio di fare il custode in questo paese fantasma («È stato solo tutto il giorno, come ogni giorno da due mesi a questa parte, qui, a fargli compagnia il chiacchiericcio delle cicale», p. 31). Sembrerebbe di primo acchito che la scelta di Angelo sia meramente lavorativa, ma, in realtà, dietro si nasconde molto altro. Sì, perché Angelo non accetta il posto da custode solo per lavorare, bensì per scappare da un fatto di cronaca che lo vede a suo malgrado protagonista. Qui, trascorre le sue giornate, passeggiando tra vie deserte, case diroccate e malmesse, come se fosse in attesa di “qualcosa”.  Il tempo è rotto solo dai viaggi in motorino, quando torna per andare a trovare la madre e, proprio in queste occasioni, che incontra un suo vecchio, e mai dimenticato, amico d’infanzia: Valerio, un ragazzo complicato, perennemente in crisi emotiva, tanto da essere ormai caduto nella droga, senza possibilità di uscirne. Anche Valerio, come Angelo, è dovuto scappare dal paese, dopo un affare poco chiaro con lo spacciatore locale.

Si era immolato all’eroina, come tanti allora, era andato dritto al punto senza perdere tempo dietro le ragazze o la musica. E Angelo non era mai riuscito ad aiutarlo, a tirarlo fuori da quel pantano in cui si era infilato e riportarlo a cacciare grilli e cavallette. (p. 15)

L’incontro tra i due contribuirà alla fine della parvenza di tranquillità che Angelo si era creato con tanta fatica. Sì, perché a turbare la sua ricerca di quiete non sarà solo il ritorno dell’amico. Durante la notte, infatti, quando il paese sembra avvolto in silenzi interminabili, rotti solo dai rumori della campagna, Angelo inizia a vedere inquietanti presenze che lo riportano ai tempi dei suoi genitori, durante gli anni Sessanta. E, se in un primo momento non è sicuro della lucidità della sua mente (dubbio legittimo, considerato tutti i problemi e i traumi della sua vita), ben presto capirà che niente avviene per caso e che è giunto il momento di affrontare questioni famigliari, volutamente ignorate fino a quel momento. Monteruga, la notte, torna a essere popolato, come se i suoi abitanti non se ne fossero mai andati da lì: ci sono matrimoni e mercati che, però, sono in un tempo diverso dal presente e dove rimangono appesi in un circolo senza fine.

I piani temporali sono dunque due: presente e passato. Quello che li unisce è il tempo della sospensione: da una parte, Angelo in attesa di comprendere e chiarire questioni irrisolte e dall’altra il paese di Monteruga che sembra rivivere nelle notti estive e che rimane appeso a un passato che non intende lasciare in pace nemmeno i morti. E se il protagonista è Angelo, non ho potuto non notare come anche Monteruga sia un perno centrale: le case diroccate, le vie abbandonate, le insegne buie e rotte dimostrano una personalità narrativa che fa immergere il lettore nel fascino intramontabile dei borghi fantasma.

Era stata la promessa del riscatto di una terra intera, quel luogo. Dava lavoro quando tutto attorno c’era miseria, era la parentesi pace e sicurezza negli anni del regime, e poi in quelli della guerra. I telai con il tabacco infilzato dalle donne e steso a essiccare erano talmente tanti che occupavano la piazza e venivano inclinati pure lungo le pareti degli edifici che vi si affacciavano […]. Non mancava niente, non era necessario andare fuori. La vita cominciava e finiva lì. (pp. 97-98)

E se i piani temporali sono due, anche quelle narrativi giocano tra realtà e sogno: questi si mescolano nella vita del protagonista che subirà uno sconvolgimento, senza via di ritorno, perché niente sarà come prima, dopo aver vissuto qui. In un primo momento, Monteruga è per Angelo rifugio; alla fine sarà il luogo dei chiarimenti, dove la sua vita assumerà un senso diverso e inaspettato. 

Quello di Anna Puricella è un romanzo che affronta le piccole realtà paesane, quelle dove vita privata e collettiva coincidono e dove a esser giudicati, e poi isolati, non ci vuole molto. Al di là della trama, che è già di per sé coinvolgente, quello che più mi ha colpito è la scelta dell’autrice di voler raccontare un Salento diverso, quello lontano dalle cartoline. Il Salento di Anna Puricella è un luogo aspro, di terra rossa, cocente per il sole estivo, ben lontano dalle immagini “instagrammabili” che siamo abituati a vedere. È, forse, questa è la forza di questo romanzo: raccontarci una Puglia diversa e insolita - forse, quella più genuina.

Giada Marzocchi